Capita di frequente che nel corso della storia della musica il sacro ed il profano trovino dei punti di contatto e vengano a crearsi interferenze e reciproche influenze, ma accade con maggior frequenza, sebbene non ci siano sufficienti testimonianze relative alle epoche più remote, che la musica colta incontri la musica popolare ed i compositori subiscano il fascino della tradizione folcloristica o quantomeno ne siano in qualche modo attratti. Il Trentino conta un patrimonio di canti popolari o di ispirazione popolare più che secolare, i cui testi parlano delle meraviglie naturalistiche del territorio, della vita semplice e laboriosa dei suoi abitanti, di personaggi tipici, di fanciulle e di giovani innamorati e, dalla Grande Guerra, dei dolori, dei timori, della nostalgia e della lontananza dalla famiglia e dalla propria “morosa”, degli alpini impegnati nel conflitto.
Dalla sua fondazione, nel 1926, il Coro della SAT (allora SOSAT) ne è stato uno dei più prestigiosi interpreti, avvalendosi della direzione e della collaborazione di musicisti di fama internazionale, noti anche per la loro attività didattica e professionale nell’ambito della musica colta. Fra gli armonizzatori e trascrittori dei brani proposti in questo concerto l’unico caso singolare è quello di Luigi Pigarelli, di professione magistrato e Procuratore, ma anche musicofilo e Presidente della Società Filarmonica di Trento nel secondo dopoguerra, cui si deve l’armonizzazione di uno dei brani più famosi, La Montanara (composto originariamente nel 1927 da Antonio Ortelli per canto e pianoforte). Gli altri nomi sono ampiamente noti agli addetti ai lavori e al pubblico locale. Alcuni di loro sono di origine trentina, come Pigarelli o Antonio Pedrotti, appartenente ad una famiglia legata al Coro della SAT fin dalla sua origine, altri sono trentini acquisiti o in qualche modo hanno avuto a che fare con l’attività musicale del Trentino e con il Coro.
Andrea Mascagni è stato sicuramente una delle figure di maggior rilievo nell’ambito musicale locale, ma anche nazionale ed internazionale, contribuendo, nella carica di senatore, alla realizzazione della recente riforma dei Conservatori italiani. Renato Dionisi, istriano di nascita, noto compositore e didatta, si è formato, come Andrea Mascagni, nell’allora Liceo musicale di Bolzano sotto la guida di Mario Mascagni; a Bolzano lega il suo nome anche il grande pianista Arturo Benedetti Michelangeli, nel cui Conservatorio insegnò negli anni Cinquanta. È noto il suo amore per la montagna: esule volontario in Svizzera, aveva una casa in Val di Rabbi dove trascorreva l’estate, e volentieri frequentava il Coro della SAT, per il quale realizzò 19 armonizzazioni di canti. E il cerchio delle relazioni fra i musicisti si chiude se consideriamo che Antonio Pedrotti fu direttore d’orchestra in alcuni concerti in cui Benedetti Michelangeli ricopriva il ruolo di solista. Altri musicisti come Giorgio Federico Ghedini, Bruno Zanolini e Armando Franceschini hanno in più occasioni collaborato con il Coro della SAT.
Le sole voci maschili del Coro della SAT propongono i primi cinque brani, di cui La Montanara, con la sua descrizione delle montagne ed il ricordo, in conclusione, della principessa Soreghina, personaggio leggendario della val di Fassa, non poteva rappresentare esordio migliore. All’amore, conclusosi infelicemente, di Soreghina seguono immagini d’amore ben più serene, delicate, scanzonate e talvolta ironiche, con il primo brano armonizzato da Mascagni e i due da Benedetti Michelangeli, cui si possono aggiungere i successivi brani di Dionisi e di Pedrotti, mentre O ninine è una villotta di origine friulana in cui l’innamorato vuole far colpo sulla sua bella dando sfoggio delle proprie doti di lavoratore.
Le sonorità si ampliano e si arricchiscono con l’aggiunta dell’orchestra nei due brani di Dionisi e in quello di Pedrotti, esempi di integrazione fra la natura tipicamente corale della musica popolare e l’ensemble strumentale della tradizione musicale colta; il tutto è realizzato con molta discrezione e nel rispetto delle linee melodiche del coro. La delicata ninna nanna N’dormenzete popin, originariamente armonizzata da Dionisi (ma ne esiste anche una versione di Benedetti Michelangeli) si aggrazia timbricamente nell’arrangiamento di Francesco Melita, originario di Latina, pianista, compositore e direttore di cori e docente del nostro Conservatorio, grazie all’apporto delle voci femminili e dell’orchestra.
Il Coro della SAT lascia il palcoscenico e le sonorità si attenuano nel brano Sirènes, per orchestra e coro femminile, terzo dei Trois Nocturnes (conclusi nel 1899) di Claude Debussy, di cui ricorre il centenario della morte. In realtà l’elemento naturalistico permane nel corso del concerto, in quanto dall’incanto delle montagne, e dal personaggio fiabesco della principessa Soreghina, si passa al mare e alle sue mitiche abitatrici. È soprattutto in Sirènes, dove i vocalizzi delle voci femminili si amalgamano con l’orchestra, e nel primo brano, Nuages, che si realizza quel tipo di particolare vaghezza timbrica definita dal musicista, durante le prove dell’opera, col neologismo flou. Il critico musicale Pierre Lalo colse nel "sottile" e "sfumato" canto delle sirene una strana "inquietudine mescolata a voluttà". Il mare, che Debussy amava a tal punto da affermare che se non fosse diventato musicista avrebbe fatto il marinaio, e l’elemento acquatico hanno un particolare ruolo simbolico ed evocativo nel corso della produzione del compositore.
Se in apertura il concerto era caratterizzato dalle sonorità del coro, cui si aggiungevano gradualmente l’orchestra e le voci femminili, i timbri orchestrali sono i protagonisti del momento conclusivo, come avviene in una specie di onda che prima si espande e che poi si riduce, e nello stesso tempo assistiamo anche ad un percorso che va dal popolare all’integrazione fra popolare e colto, per concludere col solo colto, anzi con "l’accademico". Con Johannes Brahms non ci si allontana comunque dai motivi trainanti del concerto: è nota la passione del musicista amburghese per la montagna, comprese le Dolomiti del Trentino, di cui ci rimangono testimonianze nelle sue lettere relative ad escursioni e gite nella nostra zona; ma altrettanto noto è l’amore e l’interesse che Brahms aveva per la musica folcloristica, soprattutto tedesca. Accademico è il nostro concerto così come per una destinazione accademica era stata composta nel 1880 l'Akademische Festouvertüre in do min. op. 80 (Ouverture Accademica), come segno di gratitudine per il conferimento, nel 1879, della laurea honoris causa in filosofia da parte dell’Università di Breslavia. Memore della giovanile esperienza di Göttingen, quando nel 1853, ospite dell’amico violinista Joseph Joachim, aveva frequentato per un breve periodo l'ambiente universitario della città, Brahms ha inserito nell’Ouverture Accademica quattro canti goliardici allora molto noti, che risultano perfettamente integrati ad altri motivi originali. Fra questi l'umoristico Fuchslied (Canzone della matricola) Hört', ich sing das Lied der Lieder (Ascolta, io canto la canzone delle canzoni), e a conclusione il famoso Gaudeamus igitur, gaudente canzone studentesca di birrerie e osterie. L'opera esprime il lato giocoso, festaiolo e umoristico del musicista (generalmente poco incline a simili manifestazioni), la sua simpatia per la vita spensierata e scanzonata degli studenti, in un'orchestrazione a tratti quasi "chiassosa", ma che non indulge mai alla volgarità o alla banalità.
Alberto Cristani