MeseMontagna 2018

Le schede dei grandi protagonisti
della 13ª edizione di «Mese Montagna»

Christophe Profit

Alpinista e guida alpina, originario della Normandia, si innamora della montagna da bimbo, durante le vacanze estive trascorse con la famiglia nell’Isére. Una passione che a 16 anni lo porta a scoprire il fascino dell’arrampicata ed in particolare le falesie della Senna a Connelles e a La Roque. Classe 1961, considerato il pioniere dell’arrampicata veloce, firma le sue imprese più celebri negli anni Ottanta, il suo periodo d’oro. Nel 1982 il suo nome entra nella leggenda per l’arrampicata free solo, ossia in solitaria e senza protezione alcuna, sulla parete ovest del Petit Dru, la celebre guglia di 3.733 metri nella parte settentrionale del gruppo del Monte Bianco, compiuta in tre ore e dieci minuti.
Nel 1985 mette a segno quella che forse è la sua impresa più celebre, il concatenamento in solitaria delle tre grandi pareti nord delle Alpi, Grandes Jorasses, Eiger e Cervino, effettuato per la prima volta nell'arco di 24 ore a luglio del 1985 e ripetuto poi in inverno, a marzo del 1987, in 40 ore e 54 minuti invertendo l’ordine delle pareti. Nel 1991, assieme a Pierre Béghin, apre una nuova via sul K2 lungo lo spigolo nord-ovest.

Denis Urubko ed Elisabeth Revol

Russo di origine ma italiano di adozione, il 45enne Denis Urubko è il quindicesimo uomo ad aver salito tutti i quattordici ottomila ed il nono ad averli scalati senza ossigeno. Ma soprattutto è l’uomo che, a gennaio di quest’anno, assieme ad Adam Bielecki, si è reso protagonista di un atto di salvataggio eroico, ai limiti dell’impossibile. A lui Elisabeth Revol, 38enne francese, prima donna ad aver realizzato la tripletta Broad Peak - Gasherbrum I - Gasherbrum II, in solitaria e senza ossigeno, deve la vita.
È la sera del 25 gennaio, quando Revol lancia un disperato sos dal Nanga Parbat: lei è in difficoltà e il compagno di cordata, Tomek Mackiewicz, è “imprigionato” in un crepaccio a 7.200 metri di quota. Urubko, impegnato in una spedizione sul K2 assieme a Bielecki, non ci pensa due volte e abbandona la sua impresa per cercare di salvare i due scalatori. L’elicottero lascia Urubko e Bielecki poco sotto il Campo 1, a circa 4.800 metri di altitudine. Mai prima d’ora un velivolo era riuscito ad avvicinarsi così tanto a quel luogo, tanto bello quanto pericoloso. Ci sono poi volute circa otto ore, sfidando la notte e le condizioni meteo avverse, per raggiungere a quota 6.000 Elisabeth Revol, provata e con gli arti congelati, ma viva. Impossibile, purtroppo, a causa delle condizioni atmosferiche sempre più proibitive, raggiungere Mackiewicz.

Simone Moro

È uno dei più famosi alpinisti al mondo, ma è anche un pilota di elicottero, uno speaker e uno scrittore. Simone Moro, bergamasco, ha all’attivo qualcosa come 56 spedizioni ed è l’unico scalatore ad avere raggiunto quattro ottomila nel pieno della stagione invernale, partendo cioè dopo il 21 dicembre: il Shisha Pangma, il Makalu, il Gasherbrum II e il Nanga Parbat. A febbraio di quest’anno risale la prima ascesa invernale al Gora Pobeda, in Siberia, a “soli” 3003 metri di altitudine, ma in quello che è il luogo più freddo al mondo data la sua collocazione nel Circolo polare artico.
Pilota di elicottero specializzato nel soccorso in Himalaya, nel 2012 si rende protagonista di un recupero in long line sul Tengkangpoche, a oltre 6.400 metri. Coraggio, temerarietà e altruismo che si accompagnano ad un importante impegno umanitario che lo ha portato a ricevere importanti riconoscimenti. Su tutti, nel 2002, il “David A. Sowles Award”, istituto dall’American Alpine Club e, l’anno successivo, il “Pierre de Coubertin Fair Play Award”, assegnato dall’Unesco, e la Medaglia d’Oro al Valor Civile.
Un riconoscimento, quest’ultimo, che l’ex presidente della Repubblica Carlo Azelio Ciampi ha voluto donargli per il recupero estremo compiuto sulla parete ovest del Lhotse (8.516 m), in Nepal, che ha visto Moro, da solo, senza ossigeno, al buio e con un elevatissimo rischio di valanghe, salvare la vita ad un giovane inglese abbandonato dai compagni durante la scalata.
Imprese e ricordi che il cinquantenne Moro ha fissato in otto libri, tradotti in inglese, tedesco, spagnolo e polacco. L’ultimo, uscito nel 2017, è intitolato “Devo perché posso”.

Hans Kammerlander

In carriera vanta circa 2.500 scalate in tutto il mondo, di cui 50 come prime ascensioni. La vita di Hans Kammerlander è costellata di numeri da record come questo e di imprese entrate nella storia. Nato nel 1956 ad Acereto, in Valle Aurina, dove tutt’ora risiede, a 21 anni trasforma la propria passione per la montagna in un lavoro, quello di maestro di sci e di guida alpina presso la Scuola alpina altoatesina di Reinhold Messner.
Nel 1982 proprio Messner, con una spedizione volta a scalare per la prima volta la parete sud-occidentale del Cho-Oyu, gli apre il cammino verso le montagne più alte del pianeta. L’impresa inizialmente non ha successo. Ma negli anni successivi i due compagni di avventura affrontano insieme, talvolta tramite vie totalmente nuove, ben sette vette delle quattordici esistenti oltre gli 8mila metri.
In seguito Kammerlander prosegue il suo cammino riuscendo a scalare complessivamente tredici ottomila. Nel 1996 è il primo uomo a scendere dall’Everest, dal versante settentrionale, con gli sci ai piedi fino al campo-base. La conquista della cima in sole 16 ore e 40 minuti è ritenuta ancora oggi l’ascesa più veloce della parete nord della montagna più alta della Terra. Tra ascesa e discesa gli sono servite solo 23 ore e cinquanta minuti.
Nel 2001 realizza un altro suo sogno ,riuscendo a raggiungere al sesto tentativo la vetta del K2, la montagna più bella al mondo, ma anche la più difficile da scalare.


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