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I racconti di Krzysztof Wielicki affascinano Vezzano
Chiusura in grande stile per l'edizione 2014

La grande attesa non era stata certo malriposta. Ieri sera Krzysztof Wielicki, uno degli alpinisti che hanno scritto la storia di questa disciplina, ha tenuto con il fiato sospeso per un'ora e mezza il pubblico giunto al teatro di Vezzano per partecipare all'ultima serata di «Mese Montagna», raccontando, supportato da immagini d'epoca, trent'anni di incessante attività all'ombra delle vette più alte del mondo. Chi è parte del mondo dell'alpinismo conosce bene le imprese messe a segno da questo piccolo grande uomo polacco, chi ancora non ne aveva sentito parlare ha colmato ieri questa lacuna.
Classe 1950, Wielicki è diventato famoso per aver compiuto la prima ascensione invernale di tre ottomila: l'Everest nel 1980 con Leszek Cichy, il Kangchenjunga nel 1986 con Jerzy Kukuczkae il Lhotse nel 1988 in solitaria, ma anche perché è stato il quinto uomo ad aver salito tutti i quattordici ottomila. Tuttavia considerare unicamente le prestazioni di Krzysztof scorrendo la fredda tabella delle sue conquiste, sarebbe riduttivo, perché la sua storia acquista un significato tutto particolare alla luce del contesto nel quale ha portato avanti la propria attività e anche dei compagni e delle attrezzature che lo hanno accompagnato. Wielicki, vivendo in uno stato che fino al 1989 era posizionato "oltre cortina", non ha potuto intraprendere spedizioni al di fuori dell'area di influenza sovietica fino al 1980 e quindi ha cominciato relativamente tardi e con mezzi assai limitati a scalare gli Ottomila. Per reperire le risorse necessarie ha lavorato sodo nei cantieri edilizi e per poter cambiare la valuta polacca in Asia è stato costretto ad acquistare beni poi rivenduti in loco simulandone lo smarrimento. Più che il racconto di un indomito alpinista, quello che abbiamo ascoltato ieri è apparso quasi un romanzo, fatto di successi, insuccessi, lutti, incidenti, piccoli miracoli e tanta sofferenza. Ma anche di grandi amicizie, slanci di coraggio e di altruismo, il tutto bagnato da allegre bevute in compagnia, giacché l'alcol è sempre stato imprescindibile e fedele compagno di viaggio di Wielicki e delle spedizioni di cui ha fatto parte.
La sua carrellata sulle quaranta spedizioni realizzate nella catena dell'Himalaya, condotta dai suoi racconti in un ottimo italiano, ha messo in evidenza, come era capitato altre volte in questa edizione di Mese Montagna, le grandi differenze fra l'alpinismo pionieristico di un tempo e quello di massa di oggi, fra le attrezzature e i materiali rudimentali di trent'anni fa e quelli sofisticati dei nostri giorni. La metafora più lucida di questa scansione temporale è arrivata alla fine, quando Wielicki ha paragonato le fotografie scattate con mille difficoltà su rullino a colori del 1980 ai selfie di oggi postati in tempo reale sui social media.

Prima delle sue narrazioni aveva preso la parola Silvana Giovannini, vicepresidente dell'associazione trentina Ciao Namastè, che da qualche anno sta raccogliendo fondi per aiutare le popolazioni del Nepal promuovendo la costruzione di scuole, laboratori artistico-artigianale e ambulatori. Mese Montagna, in questa edizione, ha destinato una parte degli incassi proprio al sostegno di queste iniziative e di quelle dell'Associazione Senza Frontiere, che opera nello stesso ambito.
Prima del rompete le righe c'è stato il tempo per i saluti finali e per il consueto taglio della torta, "griffata" Mese Montagna, con un arrivederci all'edizione del decennale quella in programma nel novembre del 2015.

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