La lunga preparazione di un’impresa alpinistica, la snervante attesa di condizioni climatiche propizie, le immagini delle ascese, impregnate dello sforzo fisico, a volte sovrumano, compiuto in alta quota di giorno o di notte a temperature spesso proibitive, la grande gioia che si sprigiona nel momento in cui una cima viene conquistata, con il pensiero che va già a quella che verrà. Con tutti questi ingredienti ieri sera al Teatro Valle dei Laghi l’alpinista varesino Matteo Della Bordella è riuscito a tenere il fedele e numeroso pubblico di «Mese Montagna» con il fiato sospeso e a riportarlo all’interno di un cliché di successo che la rassegna aveva seguito per tanti anni prima dello stop forzato subito nel 2020.
La serata inaugurale, dedicata ad un tema di grande attualità come quello della produzione dei rifiuti, diventati addirittura una montagna da scalare, aveva rotto il ghiaccio, anche per il nuovo comitato organizzatore, quella di ieri ha riconciliato la platea con i temi ad essa tanto cari.
Matteo Della Bordella, 37 enne varesino, che ha cominciato a scalare le montagne di casa con papà Fabio a soli 12 anni, ne avrebbe avute tante di conquiste da raccontare, basta scorrere il lungo elenco, «neppure aggiornato», come ci ha spiegato, presente su Wikipedia per rendersene conto, quindi nelle serate che propone sui palchi dei teatri deve scegliere le più significative, che non sono necessariamente le più performanti, ma quelle che più si confanno al suo modo di intendere l’attività di alpinista ed esploratore. Ovvero quelle che propongono una doppia difficoltà: la prima consiste nel raggiungere lo sperduto luogo scelto per le imprese, luoghi del mondo lontanissimi dalle realtà urbanizzate e civilizzate, la seconda nello scalare la parete prescelta utilizzando al minimo gli ausili artificiali. La sfida alla montagna deve essere più leale possibile e non importa, come ha spiegato un suo compagno di spedizione, se si viene respinti tre o quattro volte, quello che conta è solo chi mette a segno il colpo del ko, come in un combattimento sul ring.
Il suo racconto, per necessità di sintesi e fluidità di narrazione, è così partito dalla conquista della parete Sud della Marmolada, la celebre “Via attraverso il pesce”, portata a termine con il papà nel 2005, è proseguito con l’ascesa della parete ovest della Torre Egger, in Patagonia, che ha richiesto tre anni di tentativi, con quella del Cerro Torre sulla Via del compressore. Non poteva mancare il ricordo di due compagni, Matteo Pasquetto e Matteo Bernasconi, entrambi periti in montagna nel 2020. Entrambi Ragni di Lecco come il terzo Matteo presente sul palco.
Poi il racconto è scivolato veloce verso la Groenlandia, dove il protagonista della serata, ha avuto ragione dell'impressionante parete Nord-Est dello Shark Tooth, raggiunta pagaiando sul kayak per più di 200 chilometri, poi ci ha portati verso l’isola di Baffin, dove ha percorso 250 km con gli sci per avere ragione, dopo 45 giorni trascorsi nella Stewart Valley, del Great Sail Peak.
Ultima narrazione, quella dedicata al successo sulla parete ovest del Bhagirathi IV, nell’Himalaya indiano, con gli altri due Ragni Luca Schiera e Matteo De Zaiacomo, arrivato nel 2019 dopo vari tentativi andati a vuoto, con una scalata in velocità e con pesi limitatissimi addosso.
Infine Matteo ha riservato uno spazio al progetto “Climbing and clean”, costruito insieme al trentino Massimo Faletti. Consiste nel recuperare rifiuti di ogni genere abbandonati ai piedi delle falesie dove si arrampica, partito proprio da Trento nell’aprile di quest’anno.
L’ultimo appuntamento con questa edizione di «Mese Montagna» è in programma venerdì prossimo, ospite di turno la guida alpina Paolo Tassi, con il quale si parlerà di sci alpinismo.