Il premio giornalistico «Beppe Viola»
a Leo Turrini e Cesare Prandelli

Due vincitori che non t'aspetti per il premio giornalistico dedicato alla memoria di Beppe Viola che, da ben 32 anni, affianca il torneo Città di Arco per allievi, contribuendo ad accrescerne la fama e a catalizzare l'interesse dei media. La giuria, presieduta da Sergio Zavoli e coordinata da Giuseppe D'Amato, ha infatti scelto il giornalista e scrittore Leo Turrini e il commissario tecnico della Nazionale italiana Cesare Prandelli.
Un risultato che forse si discosta dai canoni che avevano ispirato il premio nelle sue prime edizioni e che comunque ha un suo significato se pensiamo che, nei loro rispettivi campi di interesse, Turrini e Prandelli sono abbastanza vicini al messaggio di Beppe Viola, un giornalista che aveva rotto con i tromboni e con i retori proponendo un linguaggio ed uno spirito nuovo per raccontare lo sport.

Leonildo Turrini, detto Leo, è nato 54 anni fa a Sassuolo e lavora per “il Resto del Carlino”, “La Nazione” e “il Giorno” occupandosi, come dice il suo profilo su Wikipedia, dei grandi personaggi dello sport. Cronache attente e soprattutto appassionate, fin dai tempi di Alberto Tomba, inarrivabile campione dello sci, con il quale ha anche scritto un libro a ricordo di imprese che ormai appartengono alla leggenda. Turrini ha comunque scritto molti libri, soprattutto a soggetto sportivo, soprattutto per il mondo della Formula 1 e della Ferrari della quale è letteralmente innamorato, tanto da vincere, nel '93, il premio Dino Ferrari. Un innamorato cosciente, se è vero che Leo Turrini è spesso ospite dei principali network televisivi per parlare, soprattutto dal punto di vista della casa di Maranello, del mondo della Formula 1.
Nella sua carriera, comunque, si è occupato anche di altri sport e non a caso, da quasi vent'anni, è direttore della rivista specializzata SuperVolley. Per il libro “Quel gran pezzo dell'Emilia”, Edmondo Berselli lo ha definito “il più grande narratore orale italiano”.

Cesare Prandelli è quasi inutile raccontarlo, visto che come Commissario Tecnico della Nazionale – ruolo che gli è stato affidato nel 2010 – ha ben presto conquistato il cuore degli appassionato di calcio italiani. Nato 57 anni fa a Orzinuovi, Prandelli ha avuto una discreta carriera come giocatore, iniziata nella Cremonese e poi proseguita nell'Atalanta e nella Juventus. Nello squadrone bianconero era la classica riserva di lusso, il giocatore che si faceva sempre trovare pronto per ogni tipo di ruolo a centrocampo o in difesa. Rappresentava, insomma, il giocatore cantato da Ligabue in “Una vita da mediano”, che è poi il target che anche oggi gli piace tanto al culmine di una prestigiosa carriera di allenatore. In bianconero ha comunque vinto tre scudetti, una Coppa dei Campioni, una Coppa Italia, una Coppa delle Coppe ed una supercoppa europea. Non male per un comprimario.
Dopo la Juventus, Prandelli è tornato nella “sua” Atalanta dove ha concluso la carriera di calciatore e iniziato quella di tecnico. Quattro anni di rodaggio con la squadra orobica, poi un anno a Lecce, due a Verona, uno a Venezia, due a Parma. Nel 2004, appena ingaggiato dalla Roma, lascia il calcio per stare accanto alla moglie Manuela, sposata nell'82, affetta da un male incurabile. Manuela se ne va nel 2007, e Cesare Prandelli – che non ha mai nascosto la sua fede – resta il suo ricordo e soprattutto la testimonianza dei due figli che gli ha dato: Caterina, la più giovane, e Niccolò, preparatore atletico del Parma e della Nazionale. Anche il calcio, comunque, può essere una medicina efficace. Lo cercano i Della Valle, a Firenze trova l'ambiente giusto e anche i (difficili) tifosi viola si innamorano di lui. Cinque anni splendidi con eccellenti risultati. Poi la chiamata in Nazionale, il secondo posto all'Europeo del 2012 (sconfitta in finale dalla Spagna) e fuori in semifinale, sempre per mano della Spagna (ma ai rigori) nella Confederation Cup del 2013. Una grande carriera che lo ha visto alle spalle di Del Bosque, nel 2012, come miglior Ct e che oggi lo vede impegnato a “confezionare” la squadra giusta per il prossimo mondiale in Brasile. Trattandosi dell'Italia – e visti i precedenti – dovrà essere capace di un'alchimia. Speriamo ne sia capace.

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